#9: “C’era una volta” – Google Street View

La favola di oggi, se così si può definire, ha come protagonista Google Street View.

Partiamo da uno dei personaggi chiave di questa storia: Peter Fleischer

Peter Fleischer – Google

Chi è costui? 

Peter lavora come consulente globale per la privacy di Google dal 2006.

E’ il più longevo leader di Google in materia di privacy e fornisce consulenza ai team dell’azienda su come progettare prodotti che rispettino la privacy e che siano conformi alla legge.

Ha gestito decine di azioni normative in tutto il mondo ed è comparso davanti ad alcuni dei più importanti tribunali.

Prima di entrare in Google, Peter ha lavorato per 10 anni in Microsoft, come responsabile della privacy per l’area EMEA e direttore della conformità normativa.

Nel 2007 Peter Fleischer diede il suo contributo al lancio di Street View. 

Questo strumento è integrato all’interno di Google Maps e di Google Earth, altri due servizi di Mister G: il primo serve per avere indicazioni sulle strade di ogni località del mondo, il secondo invece serve per visualizzare la Terra mediante dei satelliti.

Google Street View permette alle persone di avere una visione panoramica a 360° delle vie della maggior parte dei paesi del mondo. All’inizio mappava solo alcune città americane, successivamente si è diffuso in tutto il mondo.

Le auto utilizzate per mappare le strade si chiamano Google Car

“Ma il discorso privacy come è stato gestito?” forse vi starete domandando…

Nel momento in cui il prodotto venne lanciato Fleischer scrisse un post in cui sottolineava che negli spazi pubblici le persone non si aspettano di avere la stessa privacy che hanno a casa loro.

Noi tutti infatti sappiamo che ne abbiamo poca in quanto siamo visti da più persone, tra l’altro sconosciute.

Per lui e per Big G era perciò lecito fare delle foto senza avere autorizzazioni o consensi e comunque Fleischer disse di aver studiato una procedura per far rimuovere le immagini se qualcuno lo avesse domandato.

In pratica con le sue parole rassicuranti faceva capire che c’era la garanzia che le abitudini delle persone venissero rispettate.

Non passarono molti anni e iniziarono ad arrivare le prime polemiche collegate alla privacy. 

Nel 2009 infatti sia il Giappone che la Germania fecero sentire la loro voce sul tema.

E’ nel 2010 che però emergono dei dettagli interessanti per merito della commissione federale tedesca per la protezione dei dati che disse che le Google cars raccoglievano i dati personali delle persone attraverso le reti wi-fi private.

Google in prima istanza non accettò questa accusa e si difese dicendo che raccoglieva solo i nomi delle reti wi-fi pubbliche. 

Un’analisi indipendente effettuata da alcuni esperti di sicurezza tedeschi però mise in evidenza che Street View prelevava proprio informazioni non criptate.

Di fronte a questa documentazione Google fu così costretta ad ammettere di aver archiviato dati che comprendevano nomi, numeri di telefono, informazioni sul credito, password, messaggi, trascrizioni di email, dating online, pornografia, dati medici.

Il tutto in oltre 30 paesi.

Nel biennio 2009-2010 quasi 250.000 proprietari chiesero a Google che la propria casa non comparisse nelle riprese, costringendo l’azienda ad assumere a progetto 200 programmatori per venire incontro alle richieste.

Questo scandalo prese il nome di “Google Spy-fi” o “Wi-spy”.

Trittico del giardino delle delizie di Hieronymus Bosch – dettaglio

Big G disse che gli errori commessi erano stati causati da un ingegnere che stava portando avanti un progetto sperimentale: una parte del codice del software di questo progetto sembrava essere finito inavvertitamente all’interno di Street View. 

Intervenne – nel 2012 – la FCC ( la Commissione federale per le comunicazioni degli Stati Uniti) con una sua indagine all’interno della quale emerse che Google aveva agito in modo deliberato: infatti BigG selezionò e assunse questo famigerato ingegnere (diventato il capro espiatorio) per merito delle sue esperienze nel campo del wi-fi wardriving.

Il Wi-fi wardriving è la pratica di intercettare reti Wi-Fi, in automobile, in bicicletta o a piedi, con un laptop, solitamente abbinato ad un ricevitore GPS per individuare l’esatta posizione della rete trovata ed eventualmente pubblicarne le coordinate geografiche su un apposito sito web.

Nell’indagine della FCC emerse che i dati raccolti sulla geolocalizzazione degli utenti, venivano catalogati e incrociati insieme ad altri dati che si basavano sul “che cosa sta facendo quella determinata persona” e venivano poi analizzati offline per essere usati in altri ambiti. Pubblicitari?…Who knows?

Alla fine la FCC riuscì a trovare le prove che dimostrano il tentativo di Google di trovare un capro espiatorio: 

l’ingegnere accusato da Google aveva linkato via mail la documentazione del proprio software ai project leader di Google, i quali a loro volta l’avevano condivisa con l’intero team di Street View. 

Inoltre la FCC scoprì anche che in almeno due casi tale ingegnere aveva detto ai suoi colleghi che Street View stava raccogliendo dati personali.

Nonostante tutto questo e malgrado le approfondite revisioni interne precedute da test di software, gli ingegneri di BigG negarono di essere a conoscenza dell’esistenza di raccolta di dati personali.

Trittico del giardino delle delizie di Hieronymus Bosch – dettaglio

Vi sono due punti importanti che emergono in questa vicenda e che la scrittrice Shoshana Zuboff espone all’interno del suo libro “Il capitalismo della sorveglianza” ovvero che:

  • trascorsero molti anni tra il lancio di Street View (2007), il primo scandalo (2010), la conclusione dell’inchiesta da parte della FCC (2012) e la fine dell’indagine dei procuratori (2013). In tutti quegli anni Google non smise mai di utilizzare Street View che è rimasto sempre attivo e tra il 2008 – 2010 ha raccolto 600 miliardi di byte di informazioni personali.
  • il trucco del capro espiatorio: dare la colpa ad un’unica persona in modo da distogliere l’attenzione pubblica, dirigendola verso un’unica ‘cellula infetta’ anziché su tutta l’azienda.

La FCC scrisse numerose lettere a Google con richiesta di spiegazioni, documentazioni e domande a partire dal 2010, ma Google o non rispose, o rispose dando informazioni incomplete che non potevano far altro che dimostrare la sua mancanza di collaborazione. 

La favola si concluse nel 2019 con un accordo: una multa di 13 milioni di dollari che Google dovette sborsare come risarcimento. 

I legali dei querelanti espressero perplessità per la distribuzione del rimborso in quanto risultava complicato poter identificare le vittime di BigG a distanza di un decennio.

Emerse che solo venti utenti avrebbero ricevuto tale rimborso, visto che avevano fatto il reclamo mediante una “class action”.

Google, oltre il pagamento della multa, promise di cancellare tutti i dati in suo possesso assicurando anche di proteggere la privacy delle persone su internet.

Nel 2019 – l’importo della multa a Big G – era inferiore ad un sesto del reddito netto che Alphabet (società madre) generava in media in un solo giorno.

That’s all folks.

Fleischer intende imporre il diritto di Google di svuotare ogni luogo dei suoi significati soggettivi che legano gli esseri umani che lo animano. Certo quando usciamo di casa sappiamo che qualcuno ci vedrà ma ci aspettiamo di essere visti solo da altre persone in spazi di nostra scelta. 

Ora diventerà tutto uno spettacolo impersonale.

– Soshana Zuboff –